EDITORIALE Un po’ di storia della timologia

Il primo ricordo della mia vita risale probabilmente intorno ai 2 o 3 anni ed è una frase dialettale del nonno che esclamava rivolto a mio padre: “El ghe l’ha fatta!” Ce l’ha fatta! Avevo piantato un chiodo in una damigiana. Non mi rimproverarono, ma risero. Armamentare con martelli, chiodi e tenaglie è stato il mio gioco infantile preferito. Ricordo che aspettavo la festa del paese per ricevere l’unico regalo annuo, non per giocarci, ma per smontarlo. Il mio sogno allora era diventare un meccanico, non per aggiustare le macchine, ma poterle smontare onde capire come funzionassero.

Quel vizio non mi è più passato!

L’avventura della timologia parti un pomeriggio uggioso della prima decade di novembre 1986. Già da una quindicina d’anni al mattino facevo il maestro alle elementari di via Crocefisso a Milano. Mentre nel pomeriggio praticavo la terapia comportamentale in Galleria Unione già da circa quattro anni. All’inizio della mia attività di terapeuta ero arrivato alla ribalta della stampa con un articolo in terza pagina del Corriere della Sera e un altro nel settimanale Gente come iniziatore del biofeedback in Italia. Stavo sottoponendo una giovane sposina, che soffriva di insonnia, al rilassamento con biofeedback, utilizzando l’EMG (elettromiografo) applicato alla fronte. Contrariamente alle mie previsioni i parametri di tensione frontale stentavano ad abbassarsi. La paziente riferiva una forte avversità nei riguardi della suocera, al punto che quando ne parlava, l’elettromiografo impennava i valori. Alla mia battuta che “non tutti i mali vengono per suocere” la paziente si indispettì ed io le feci notare che si sarebbe risparmiata viaggi e denaro se avesse perdonato la suocera. Al che mi rispose: “Ma io sono venuta da Lei perché voglio dormire, non per perdonare mia suocera!”

Fu lì che mi balenò in testa l’idea che dietro le nevrosi si celasse un perdono mancato. Nei mesi successivi l’intuizione si rafforzò fortemente constatando l’evidente concomitanza avversiva nei casi che andavo ad analizzando.

L’intuizione apriva però, un grosso problema sulla mia pratica di terapeuta e sulla natura di ciò che sperimentavo. Cos’è il perdono? Come funziona? Erano le domande a cui dovevo dare una risposta, non etica, ma funzionale.

Fu così che passai pomeriggi e anche giornate intere alla biblioteca Sormani andando alla ricerca di qualunque testo che trattasse il perdono, fino ad arrivare alla fonte biblica in cui il perdono assume significati ben diversi dal comun modo di pensare. Là si dice che Dio perdona perché è misericordioso, pietoso e buono. Sennonché la traduzione etimologica riserva sorprese inaspettate. Infatti la radice del termine misericordia rimanda all’utero materno, la pietà al piegarsi del più forte sul debole, la bontà all’insperato e alla gratuità, mentre la radice del perdono è l’acqua, il lavare. C’era di che stupirsi e andare avanti. Perdonare in termini relazionali, stando al testo antico, vuol dire farsi utero accogliente, piegarsi sul limite altrui, in modo libero e gratuito per lavare le ferite, le rotture della relazione. Questa è terapia!

Da qui ha origine la scoperta della funzione ponte e terapeutica del perdono nel passaggio dall’odio all’amore. Qui ha anche inizio la timologia che come scienza impone di identificare la radice emotiva e la funzione che sta alla base degli opposti odio/amore, cioè la rabbia e la filia, le due emozioni fondamentali che modulano la relazione.

Intanto era passato qualche anno e a cavallo tra gli ottanta e i novanta conoscevo Arrigo Sartori che era diventato il mio dentista presso il poliambulatorio di zona in via Rugabella. Tra noi nasceva subito una simpatia ed un fitto parlare sulle nostre ricerche che presentavano molte analogie. Le mie intuizioni venivano sempre attentamente sottoposte alla sua analisi neuro scientifica, ambito in cui Arrigo da anni si impegnava coltivando un’intensa ricerca. Arrigo ha il dono di entrare rapidamente nei problemi e di porre le domande giuste al momento giusto. Gli anni novanta sono stati un susseguirsi di ipotesi che andavano continuamente modificandosi attraverso nuove intuizioni. Lentamente veniva chiarita la natura interattiva delle emozioni facendo ricorso alle mie passate passioni di fisica e matematica, da cui ricavavo uno dei fondamenti epistemologici della timologia.

L’idea interattiva chiariva che l’interazione timica avviene fra ambiente e bisogni, il cui ambito veniva ampliato con l’introduzione dei bisogni del logos.

La ricerca e l’identificazione della struttura (tropismo, edonia, binarietà, specificità ed espressione) è cosa che maturò definitivamente agli inizi del duemila, come pure la sequenza funzionale (IVAO, input, valutazione, attivazione, output). L’ultima intuizione, di tipo matematico, è stato mettere le emozioni su quadranti cartesiani, da cui recentemente nasce il pendolo emotivo, la distinzione fra asse delle emozioni e asse degli atteggiamenti.

Nei primi anni duemila avviene l’incontro con Manuela Cervi, la quale si in carica del gravoso lavoro di categorizzazione dell’intero lessico emotivo della lingua italiana secondo la classificazione timologica, che culmina con la pubblicazione a doppio nome del testo “Emozioni per crescere”, 2008 Armando Editore.

Segue nel 2013 la pubblicazione a doppio nome con Arrigo del testo fondamentale “La timologia, scienza delle emozioni” Rubbettino editore.

Nello stesso anno a Palermo viene fondata la SITI e nel 2014 parte il corso che formerà i primi timologi.

Tutto il resto è cronaca recente.

Carluccio Bonesso

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