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L’invidia, la distropia ostile
Fra tutti i vizi è quello comunemente ritenuto il peggiore ed è in grado di rovinare e rompere ogni relazione. L’invidia risiede nell’odiare ciò che gli altri sono ed hanno, non riconoscendo l’impegno e la fatica che essi hanno fatto per raggiungerli. Come paravento si nasconde dietro la convinzione che gli altri non possano essere migliori. Allora si scatena il malignare, che giustifica i limiti, i fallimenti e la frustrazione. La frenesia ostile che ne segue è tutta intrisa di veleno, sebbene venga giustificata e scusata come giusta e liberatoria. Nessuno ammette d’essere invidioso.
L’io dell’invidioso non accetta, ritenendolo ingiusto, il bene degli altri e i loro meriti, perciò li definisce negativamente come il risultato di pratiche o avvenimenti non ammissibili o scorretti. Egli vive nel costante sospetto, attribuisce disvalore al valore degli altri, trama e spera che il merito degli altri, il loro bene e i loro successi prima o poi vengano smascherati o distrutti.
L’invidia ha l’andamento di un atteggiamento ossessivo, un rodersi dentro. Avvelena ogni relazione ed inocula continuamente il dubbio sospettoso. Il termine viene dal latino in-vĭdēre, un veder-contro, un mal vedere, un guardare con occhio cattivo. L’invidia è caina.
L’invidia non va confusa con la gelosia. L’invidioso lo è per un bene che è degli altri. Il geloso lo è per un bene che è suo o lo ritiene tale. La gelosia nei testi sacri viene attribuita a Dio, perché è l’atteggiamento di chi vuole difendere un bene che gli appartiene e su cui ritiene di aver un diritto, dai tentativi di un terzo di appropriarsene. L’invidia viene invece attribuita al diavolo, il vero antagonista di Dio, il quale è invece geloso.
L’invidioso non ama il prossimo perché si rattrista nel vederlo felice. Il geloso, amando qualcuno, o ritenendo di aver il diritto d’amarlo si rattrista per non averlo e teme che altri possano sottrarglielo.
L’invidia è un sentimento complesso che annida varie emozioni negative. A differenza della gelosia che accoglie anche il sentimento positivo dell’appartenenza, l’invidia include solo emozioni negative, come la paura e la rabbia per la fortuna ed il bene degli altri, sotto forma di rancore ed astio. La radice dell’invidia è l’amor proprio, l’amore egoista, l’io centrato su se stesso, un io che non tollera che gli altri riescano, che vorrebbe essere il solo a eccellere e a suscitare l’ammirazione, per cui si rode per le virtù e la riuscita degli altri.
L’invidia è l’emozione negativa più rifiutata, perché ha in sé due elementi disonorevoli: l’ammissione di essere inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro senza gareggiare a viso aperto, ma in modo subdolo, meschino, magari dietro le spalle con commenti denigratori per privarlo di ciò che lo rende… invidiabile. Una caratteristica dell’invidia è che la si prova soprattutto per chi è simile, per le persone che si considerano paragonabili come condizioni di partenza.
Chi è invidioso lancia, quindi, tre messaggi: sono inferiore, ti sono ostile per il tuo successo e potrei farti del male. Così come Caino uccise Abele, i cui sacrifici erano più graditi da Dio.
Il dato carenziale da cui nasce l’invidia è da ricercarsi probabilmente in un passato di trascuratezza e mancanza di apprezzamento, in cui comportamenti ed atteggiamenti discriminatori e preferenziali in ambito familiare abbiano umiliato e fatto sentire inadeguati il soggetto, il quale risponderebbe al suo malessere con la svalutazione e la denigrazione di chiunque rivesta un ruolo più fortunato e migliore.
Crescere in un ambiente intriso di invidie è una scuola di ostilità. E si sa che andare con lo zoppo si impara a zoppicare!