Paura della morte al tempo del Covid

La spettacolarizzazione della morte è un maldestro tentativo di esorcizzarne la paura, rendendola un gioco (videogame), qualcosa che accade agli altri o su un palco della vita, nei “teatri” delle guerre, nelle epidemie che accadono lontano, ad altri. Non si è protagonisti o partecipi, ma spettatori. Ma quando l’evento si impone con le sue conseguenze e le sue contiguità, allora c’è lo spaesamento, lo choc e l’angoscia.

Quello della morte è un problema che ogni antropologia ha da sempre presente. Le risposte, i riti e i miti ci accompagnano fin dalla notte dei tempi. C’è poi il tema della sofferenza connessa.

Ora su questa paura e sul dolore il potere ci ha sempre lucrato. Erogare paura e morte è il sistema emotivo su cui ha fatto affidamento da sempre ogni dominatore. Inoltre, anche se convien tenerla presente, perché è un dato di realtà ineludibile, il rimuoverla equivarrebbe ad aggravarla. Quindi ogni qualvolta si insiste sulla paura dovrebbe sorgere immediatamente il sospetto della concomitanza d’un progetto o tentativo di potere. Diversamente scatterebbe la solidarietà, la cura, la consolazione, cioè le autentiche umane difese dalla paura della morte.

In timologia ogni emozione negativa rimanda sempre ad un’altra positiva. Per esempio, non ha senso combattere la paura, ma la vera strategia è aumentare la fiducia. Perciò il metodo migliore per combattere la paura della morte è aumentare l’amore per la vita, ciò non vuol dire negare o rimuovere la morte, ma semplicemente non sprecare tempo per la morte, ma vivere un tempo denso di vita.

Il miglior modo per non farsi ingabbiare nelle dinamiche depressive dei pensieri di morte, è l’amore, il dedicarsi alla vita, il dare vita. Quando arrivano questi momenti, la cosa migliore da fare è alzarsi e andare a dar aiuto, vita e amore agli altri. Chi veramente ama gli altri, sta in effetti amando se stesso, perché il guadagno che ne ha in senso e significato dal suo fare, lo rende molto vivo. Il massimo dell’egoismo è diventar felice. Sennonché la felicità non discende dal successo, ma dall’amore. E ciò lo è per definizione, giacchè la felicità è l’emozione che segnala le relazioni positive, filiache ed empatiche. Il vero adulto è quello che è più felice quando dà, che quando riceve.

Bisogna poi fare un salto mentale e spirituale che porti a non pensare alle persone che amiamo come ad un possesso, ma ad un’appartenenza. Noi facciamo parte d’una sfera di relazioni che si sostanziano in quel esser “di NOIALTRI”, un noi, più che un io, un ambiente vitale in cui ci nutriamo a vicenda, scambiando le nostre energie d’amore. E poiché le forme di energia (vedi le onde), l’amore, l’amicizia, l’empatia, la cura non si perdono, non si distruggono, non c’è morte che annienti l’appartenenza, cioè l’esser tutti di tutti. Chi ci ha lasciato continua a stare intorno a noi, anzi dentro di noi, attraverso l’amore dato e ricevuto, sempre. Basta imparare ad ascoltare il nostro corpo DENTRO e ci accadrà misteriosamente di continuare a stare insieme.

Carluccio Bonesso