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Invidia, il vizio del diavolo
È una delle passioni peggiori che il cuore umano possa covare. Anche Gesù a suo tempo ripeteva parlando di satana che era “invidioso ed omicida”. Talché si può dedurre che il maligno sia omicida perché invidioso. Il termine viene dal latino in-vĭdēre, un veder-contro, un mal vedere, un guardare con occhio bieco.
L’invidia è una passione complessa che annida varie emozioni negative. A differenza della gelosia che accoglie anche il sentimento positivo dell’appartenenza, l’invidia include solo emozioni negative, come la paura e la rabbia per la fortuna ed il bene degli altri, sotto forma di rancore ed astio. È presente poi anche la tristezza ed il tormento per sentirsi esclusi da ciò che si ammira negli altri. Il tutto si configura come una potente ed incontrollabile spinta ostile (frenesia), contro chi ha qualità, proprietà e fortune, dalle quali ci si sente esclusi. L’invidia è un instancabile motore di ostilità, che avvelena le relazioni e carica di aggressività i rapporti. Alla base della malignità (da malus/cattivo e gignere/generare), del far e covar il male, c’è sicuramente anche l’invidia.
Descritta così sembrerebbe un sentimento praticato da pochi malvagi ed invece è dentro il cuore di tutti, come ogni altra frenesia. Prima o poi tutti proviamo invidia. Chi non si è mai lasciato andare al gossip, al commento maligno o al pensar male? Dietro questi comportamenti c’è sempre un sapore, un retrogusto d’invidia.
Un sentimento molto prossimo all’invidia è quella gelosia che comporta un risentimento verso chi ha dei vantaggi o degli affetti che si vorrebbero per sé. La gelosia è un complesso stato emotivo che può manifestarsi nei confronti del/la partner, ma anche nei confronti di un figlio, di un genitore, di un amico e persino di un oggetto. Nessuno può dichiararsi estraneo a questo sentimento che parte dal presupposto che potremmo perdere, da un momento all’altro, ciò che abbiamo di più caro. Il solo pensiero che qualcuno possa sottrarci ciò che riteniamo prezioso ci procura inevitabilmente una sofferenza interiore. La sana gelosia è quella che avvertiamo quando si profila una minaccia concreta alle nostre relazioni affettive, è un sentimento inseparabile dall’amore e, naturalmente, quando è presente a livelli accettabili, diventa il sale della relazione.
L’invidia, come sentimento coltivato da chi ha sentimenti d’inferiorità, può tramutarsi in rivalità, cioè in atteggiamenti e comportamenti di competizione ed emulazione.
Diventare degli inguaribili invidiosi nasce da un modo d’esser profondo che trae la sua spinta dall’incapacità di provare l’emozione specifica contraria: l’ammirazione.
Vari autori, intravedendo nell’invidia un atteggiamento carico d’odio, affermano esser anche l’amore il suo contrario. E, a ben vedere, chi ama prova semmai gelosia, oppure gioisce del bene degli altri. L’ammirazione è emozione molto antica ed ha nel cuore lo stupore e la meraviglia. Stupirsi è il lasciarsi colpire dalla bellezza, farsi ghermire da un sentire profondo ed intenso d’incanto di fronte alle cose belle, alle meraviglie. Esser capaci di stupore è la capacità del bambino di vedere le cose come se fosse sempre la prima volta e perciò con curiosità e gioia, ma soprattutto con innocenza. Se d’una cosa è priva l’invidia è proprio l’innocenza, la quale è quel guardare con occhio buono, innocente, cioè in-nocens, non nocivo. Diventa allora chiaro il detto di Cristo, condiviso da tutti i grandi dello spirito, poeti ed artisti, “se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”, quello appunto vietato ai maligni, agli invidiosi e a satana. È quindi evidente esser l’invidia il muro invalicabile verso la felicità. Il tormento è contrario alla serenità e alla pace. L’ostilità è contraria all’affetto e allo star bene con gli altri. La paura del non aver ed essere come gli altri è contraria alla fiducia.
Invidia e patologia: l’invidia ha come organo bersaglio l’intestino e gli organi interni, il fegato e la cistifellea. Autori recenti danno come probabile lo sviluppo di tumori in quelle zone. Non per niente si dice “rodersi dentro dall’invidia”. Sul piano emotivo e psicologico l’invidioso si presenta con il volto maligno e bieco di chi si avvia verso stati paranoidi, poiché si ritiene vittima ingiusta del mondo. Riguardo ai neurotrasmettitori il quadro è complesso e non è così chiaro come per altri vizi. Il dato rancoroso ed astioso determina una riduzione delle serotoninache svolge un ruolo importante nella regolazione dell’umore, nel controllo dell’appetito, del sonno, dell’attivazione, del risveglio e del dolore, mentre lo stato di sofferenza porta anche un deficit di dopamina, collegata al sistema della ricompensa, con perdita conseguente di stati di rilassamento e di quiete piacevole (L. Masi 2015).
Questo quadro psichico è terreno fertile per le ideologie del sospetto e del complotto. L’invidioso, che nel tempo aggravi il suo atteggiamento, non riesce a vedere nell’Altro il naturale termine di relazione, ma una possibile minaccia o addirittura un nemico.
Possibili cure: coltivare l’ammirazione e l’apprezzamento, che liberino dalla frenesia ostile nei riguardi degli altri e aumentino la capacità di apprezzare quanto si possiede e si è le quali non fanno altro che allontanare e negare ogni felicità.
Se allora si desidera esser felici conviene non invidiare, ma imparare ad ammirare e ad essere grati per quanto si ha e per quello che si è.
Carluccio Bonesso
09/06/2016